Da che mondo è mondo, le donne hanno sempre fatto figli, ma partorire oggi è una cosa ben diversa da quello che era circa un secolo fa e più.

Nel ventunesimo secolo si partorisce in ospedale, dove si resta epr tre o quattro giorni al massimo, salvo complicazioni, e poi si torna a casa a cercare di adeguarsi al cambio di vita, al nuovo arrivato e alle occupazioni precedenti, che ci ricadono tra capo e collo quando siamo ancora provate dall’esperienza… spesso ci si ritrova anche sole: il marito torna al lavoro, mamma e suocera a volte sono lontane, a volte preferiamo che rimangano dove sono e quindi ci rimbocchiamo le maniche e affrontiamo la situaizone.

Tra fine ‘800 e inizi del ‘900, nelle campagne delle Marche, però, la situazione era ben diversa. Come riportato da Claudio Principi in un passo del suo volume: Dicerie popolari marchigiane tra Otto e Novecento, vol. 3, Macerata, ed. Simple, 2010:

Durante il puerperio, ad evitare le temutissime ‘ngordature, cioè gli indurimenti di ventre dovuti a sconturbi del riassetto uterino, la donna evitava il lavoro e non usciva di casa.

Era tradizionalmente prescritto che il periodo di disimpegno e di reclusione cautelativa dovese durare 40 giorni, non uno di più, né uno di meno, e con bella espressione si usava dire che in questo periodo la puerpera sta a ssedé su la séja de la Madonna.

Al termine di questo periodo la donna effettuava la sua prima uscita recandosi in chiesa per ricevere una particolare benedizione, avente lo scopo di sancire la fine dello stato di puerperio e quindi il ritorno della donna alla vita pubblica e alle attività consuete: si trattava in sostanza di una specie di purificazione.

Questa rituale uscita si chiamava ‘uscita in sanctis’, in vernacolo scappata in zàndo. Per antica usanza era preceduta dal dono di un paio di colombi al parroco, dono che di solito veniva portato da un familiare il giorno precedente, cioè all’atto di prendere accordi sulla funzione richiesta.

E nel giorno della scadenza della quarantena, all’ora convenuta, la donna, con uan candela in mano e con i familiari, i sagnoanni, i compari, e gli amici al sseguito, si presentava in chiesa.

Qui, accesa la candela, che doveva essere sempre tenuta in mano, il parroco impartiva alla donna la benedizione prevista secondo la formula particolare e dopo il breve rito la comitiva si riportava nella casa allietata dalla nascita, ove aveva luogo una festicciola chiamata de li spòrtuli, in quanto tutti gli invitati erano tenuti a recar in dono ai due festeggiati, il neonato e la madre, una sporta di doni, consistenti in generi alimentari diversi: uova, pollame, formaggi, dolci cotti al forno, frutta di stagione, etc… E va da sé che la festa culminava nellaconsumazione di un ricco pasto, tra l’allegria generale.

C’è da domandarsi se il progresso sia sempre un vantaggio per tutte le situazioni!

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Vedi anche: Credenze popolari marchigiane su gravidanza e parto

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