Quella che presento è l’esperienza di una mamma, lettrice del sito, che sarà sicuramente utile ad altre future madri che hanno intenzione di partorire nell’ospedale di Osimo (An)
Anche stavolta quindi lascio spazio ad una storia privata, parole in confidenza, come potremmo scambiarle con un’amica che ci racconta le sue esperienze. Ogni commento o parere aggiunto nei commenti sarà, come sempre, assolutamente bene accetto e aiuterà ad arricchire le informazioni a disposizione di tutti.
Il racconto si inserisce nella sezione “Ospedali Marchigiani” e anche nella rubrica ‘Storie di Mamme’, che ogni tanto ospita in questo sito i racconti di chi vuole parlare di una scelta, di uno stile di vita o altro, da condividere con i lettori del sito. Ad esempio l’opzione di un particolare tipo di scuola o di educazione, un problema che si è riscontrato, una situazione lavorativa, una protesta, un ricordo, un ringraziamento o altro, tutto quello che ruota attorno alla vita di una mamma della nostra provincia o regione. Chiunque volesse raccontare qualcosa, può scrivere all’indirizzo clubdellemamme@gmail.com
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Tommi è nato il 30 Novembre 2012 all’ospedale di Osimo. Nei primi mesi di gravidanza mai avrei pensato di trovarmi lì quel giorno.
Avevo scelto una ginecologa di Ancona che esercita la libera professione in uno studio in condivisione con una collega, entrambe dottoresse presso il Salesi. Già dalla prima visita, oltre ai 130 euro di routine, mi erano state prescritte una serie di analisi ed esami fuori dal protocollo “gestazione fisiologica” e tutti naturalmente a pagamento. La medicalizzazione della gravidanza era assoluta, con conseguente ansia per ogni nuovo esame. Col senno di poi, non definirei questo approccio SCRUPOLOSO quanto STANDARDIZZATO per evitare di assumersi qualsiasi responsabilità, visto che non era assolutamente tarato sulla mia personale storia e gravidanza, ma uguale per tutte le “pazienti”.
Gli esami eseguiti al Salesi erano frettolosi e poco professionali: più di una volta capitava che ci fossero specializzandi alle prime armi non in grado di dare
spiegazioni esaustive e convincenti.
Tra i vari accertamenti, un risultato della curva glicemica leggermente alterato nel terzo valore ha messo in moto un meccanismo di ulteriore medicalizzazione. Nonostante io avessi preso un solo chilo in sette mesi, venni etichettata come “ soggetto a rischio diabete gestazionale”: dovevo controllare i valori della glicemia 4 volte al giorno con una specifica macchinetta, andare una volta a settimana in ospedale per fare un punto della situazione e seguire una dieta perché il bambino
rischiava di crescere a dismisura, quando contemporaneamente nelle ecografie mi dicevano: “risulta più piccolo rispetto all’epoca gestazionale”. La confusione era assoluta. La tensione e l’eliminazione dei carboidrati mi continuavano a far perdere peso. Di qui la svolta.
Grazie a un ottimo corso pre-parto tenuto al Consultorio di Loreto dall’ostetrica Grazia Pompilio, ho scoperto l’esistenza di un approccio molto più naturale e emozionale alla nascita. Sono venuta a sapere che la struttura di Osimo è “amica del bambino” e io aggiungerei della mamma… perché mette entrambi nella condizione migliore di instaurare un rapporto forte, privilegiando il contatto pelle a pelle immediato e prolungato, il rooming in e il sostegno assoluto e costante all’allattamento e qualsiasi problematica della neo mamma.
All’ottavo mese di gravidanza la mia scelta coraggiosa: cambiare ginecologo, smettere di seguire la dieta che il mio istinto e i valori della glicemia confermavano
essere sbagliata, e avvicinarmi alla nuova struttura. Per scrupolo comunque decisi di effettuare la visita guidata prevista dal consultorio in entrambi gli ospedali, soprattutto perché parenti ed amici mi continuavano a ripetere che il reparto di neonatologia del Salesi era il numero uno in Italia e che se il bambino aveva bisogno di cure…
ma perché qualcosa doveva per forza andare storto? Mi ripetevo io…
Il confronto ha confermato le mie impressioni…
Il Salesi, sia nel reparto Divisione che Clinica, risulta squallido. Le camere sono piccole, i mariti/compagni non possono rimanere a dormire, le sale travaglio sono prive di spazio per muoversi e divise da una tendina l’una con l’altra (così da sentire le urla della tua vicina di sventure in sottofondo) e la pulizia non
regna sovrana, sommato al fatto che vanta una percentuale di cesarei pari al 50% e che sembra più una fabbrica che sforna bambini con operai frettolosi, invece di assistenti alla maternità… il risultato del ballottaggio sembrava quasi scontato.
La visita all’ospedale di Osimo mi ha subito messo in uno stato d’animo rilassato e confidenziale. Il piano inferiore è squallido…ma salendo verso il reparto ostetricia ti ricevono mobili colorati dell’Ikea e foto di bambini sorridenti. Il sorriso regna sovrano anche tra le ostetriche… dal primo monitoraggio
all’ultimo tutte avevano tempo e voglia di fare una battuta o offrire una parola di incoraggiamento. Io, nonostante non avessi scelto un ginecologo interno
alla struttura, sono stata accolta in maniera impeccabile. Il 26 novembre, due giorni prima dello scadere della quarantesima settimana, mi hanno detto che
preferivano ricoverarmi e indurmi il parto perché il liquido amniotico era scarso e la placenta stava invecchiando. Continuo a non essere certa che fosse così necessaria questa forzatura, ma in quel momento, spinta anche dalla preoccupazione di mio marito, ho deciso di accettare il ricovero.
Il 27, alle sette e mezza, mi sono presentata con la famigerata valigia…
Milioni di volte mi ero immaginata la mia corsa notturna e disperata in auto per raggiungere l’ospedale in preda alle doglie, e invece pagavo con tutta calma l’odiato parchimetro (posti auto inesistenti e nessun privilegio per persone ricoverate). Nonostante avessi la mia cartella con gli esami completi del Salesi,
mi vengono rifatte tutte le analisi compresi test HIV/ Rosolia ed elettrocardiogramma.
Una equipe di ginecologi mi spiega come intende muoversi: “Il primo giorno gel… e vediamo cosa succede. Vorrei che fosse il più possibile naturale, l’ossitocina è la nostra ultima carta”. Nel frattempo mi viene assegnata la camera, la mia compagna di stanza sarà dimessa la mattina seguente. Io vengo monitorata e coccolata dalle ostetriche. Per mia scelta non faccio sapere a nessun parente ed amico del mio ricovero: ho bisogno di tranquillità e di vivermi questa emozione totalmente con mio marito. Comunque vada, l’ospedale non vieta visite a nessun orario, tranne che nei momenti di pulizia delle camere.
Il gel non funziona, mio marito decide di cenare (non si mangia male) e dormire con me e la struttura non fa problemi: si deve accontentare di una sedia perché le
stanze sono tutte occupate (al limite è possibile procurarsi una sdraietta, e portarsela).
Il 28 vengo rivisitata… mi sono dilatata di un centimetro e mezzo. I ginecologi dicono “Bene…” e prima di colazione subisco un “piacevole” buongiorno: scollamento delle membrane e altro gel a base di prostaglandine. Niente ancora si muove. La mia compagna di stanza viene dimessa e l’ospedale lascia il posto vuoto. Praticamente io e mio marito abbiamo una stanza tutta per noi.
Il 29 Novembre, nuova visita, la dilatazione è di due centimetri. Altro scollamento delle membrane e metodo di tortura leggermente più potente… bendarelle a rilascio lento di prostaglandine da tenere 12 ore. Intanto, le continue sollecitazioni mi creano un forte disagio. Le visite interne diventano dolorosissime. La posizione molto bassa della testa del bambino unita a una probabile allergia alle prostaglandine mi provoca un grande edema vaginale (la zona è gonfia e irritata da una infezione in corso).
Intorno alle 13 iniziano le prime doglie. Non riesco a stare in piedi e camminare per il flusso del sangue che mi si concentra nella zona vaginale causando ulteriore gonfiore. Vengo monitorata. Nonostante fossi piegata dai dolori e urinassi ogni 5 minuti al massimo, continuavo a mangiare… probabilmente il mio istinto mi diceva di procurarmi energie. Alle 20, le doglie si regolarizzano ogni 5 /7 minuti, ma la dilatazione è ancora di 2 centimetri. Un’ostetrica viene e mi dice che posso muovermi e andare dove voglio… di sentirmi libera… e di chiamarla quando ne ho necessità. Vado avanti così fino alle due (sono a due cm e mezzo) quando inizio a invocare l’epidurale. Segue una telefonata alla ginecologa (i ginecologi di notte sono reperibili ma non dormono nella struttura. A seguirti sono esclusivamente un’ostetrica e infermiera). Mi rispondono che la dilatazione è troppo scarsa e che la struttura può chiamare l’anestesista solo a 4 cm (in realtà di notte non viene eseguita la partoanalgesia perché l’anestesista non è presente nella struttura e non viene svegliato a meno che non ci si sia messi d’accordo in precedenza e naturalmente non a costo zero).
Mi dicono che per rilassarmi posso andare in vasca. Vengo trasportata nella camera con la cromoterapia, le stelle, la musica. Continuo a sentire Ludovico Einaudi. La vasca è a 37 gradi, mi rilasso… mio marito col doccino continua a versarmi acqua calda addosso, riesco a riposare tra una doglia e l’altra. Le contrazioni restano ogni 5 minuti. Resto in vasca due ore e mezzo, sempre monitorata. Alle 6 avviene il cambio dell’ostetrica. Io sono senza forze ma la voce di Paola è piena di energia: mi dice di visualizzare un cerchio e una palla, mi fa mettere in posizioni strane… inizio a dilatarmi. Le spinte non durano tantissimo, alle 8 e tre quarti nasce Tommi. E mentre mi mettono i punti per l’episiotomia, ecco il momento in cui mi fa dire che partorire ad Osimo è stata la scelta più giusta che potessi fare.
Il mio cucciolo, che solo allora scopro essere un maschietto, mi viene messo immediatamente sopra: è pieno di sangue e indossa solo la cuffiettina che mi avevano detto di portare. Il papà taglia il cordone. Il piccolo mi viene lasciato nel contatto pelle a pelle tutto il tempo che voglio io. Nessuna fretta, nessuna pressione. Lui, piano piano segue l’istinto e si attacca al seno. Esco dalla sala parto con le mie gambe, vado in camera, l’ostetrica col bimbo avvolto in un lenzuolino è dietro di me. Sono nella mia camera dove posso continuare a stringere il mio bimbo nell’intimità solo nostra. “Quando vuoi che lo prendiamo per vestirlo chiamaci…” E così, le ostetriche chiudono la porta e ci lasciano soli: io, mio marito e il bambino. Più tardi il piccolo sarà vestito, visitato dal pediatra e io avrò tutto l’aiuto necessario per capire come attaccarlo, come cambiarlo e come lavarlo.
Dopo la notte più lunga e “travagliata…” della mia vita, resto in ospedale altri 2 giorni, coccolata e controllata da tutti. Il dolore dicono che si dimentichi, sicuramente le emozioni provate in quella stanza numero 5 dell’ospedale di osimo, NO, MAI.
Mamma Francesca
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vedi anche:
Racconti di parto: Ospedale Salesi, Ancona
Racconti di parto: Ospedale ‘Engles Profili’ di Fabriano (An)
Racconti di parto: ospedale di Jesi (An)
Racconti di parto: Ospedale di Macerata
Racconti di parto: ospedale di Civitanova Marche (Mc)
Racconti di parto: ospedale di Fermo
Racconti di parto: Ospedale di Pesaro
Racconti di parto: ospedale di Urbino
Racconti di parto: ospedale di Fano (PU)
Racconti di parto: Ospedale Madonna del Soccorso, San Benedetto del Tronto (Ap)
Racconti di parto: Ospedale civile Mazzoni, Ascoli Piceno
Partorire in provincia di Ancona
Partorire in provincia di Macerata
Mi hai fatto piangere ☺️ peccato che oggi, nel 2021, ad Osimo non si possa più partorire
Purtroppo l’hanno preso un po’ per vizio ad Osimo di intervenire in maniera diciamo così precauzionale e sembrano lontani i tempi della naturalità del parto prima di ogni altra priorità. Peccato.