
Mammemarchigiane.it continua a pubblicare i racconti delle mamme, che vogliono parlare di una loro scelta, di un loro stile di vita o altro, da condividere con i lettori del sito. Ad esempio la scelta di un particolare tipo di scuola o di educazione, un problema che si è riscontrato, una situazione lavorativa, una protesta, un ricordo, un ringraziamento o altro, tutto quello che ruota attorno alla vita di una mamma della nostra provincia o regione.
Tutte le storie di questo tipo fanno parte della rubrica “Storie di Mamme“.
Chiunque volesse raccontare qualcosa, può scrivere all’indirizzo clubdellemamme@gmail.com
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Oggi a parlare è una mamma residente in provincia di Macerata, che voluto raccontare la sua storia dolorosa, fatta di bisogni non ascoltati e depressione. A volte il sogno più bello può trasformarsi in incubo, se non si ascoltano i campanelli di allarme. Avere figli è meraviglioso, ma anche assolutamente destabilizzante. Fabiola vuole in questo modo sensibilizzare le persone sull’importanza di una corretta informazione, dell’ascolto e della vicinanza alle donne che non si sentono bene e si mette a disposizione di chi volesse contattarla, per superare un momento di difficoltà, magari anche solamente parlando con chi ci è già passato.
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Questa è la storia della mia depressione e di cosa ho dovuto affrontare a livello emotivo, la voglio raccontare affinché possiate evitare di incappare in errori o scelte sbagliate che condurrebbero voi e la vostra anima all’inferno dove io sono.
Mi sono sposata,anzi no ci siamo sposati nel 1992, 22 anni io e 25 lui, una casa tutta nostra, senza mutuo, entrambi lavoravamo, un matrimonio perfetto. Io dalla vita desideravo solo una famiglia,con dei figli e magari dei nipoti, lavorare, invecchiare e morire;scoprii con gli anni che sarebbe stato più facile e meno doloroso andare sulla luna,la “famiglia del mulino bianco” non esiste.
Nostra figlia nacque un anno dopo,tutti felici,io mi presi i miei nove mesi di maternità e poi tornai al lavoro. Mio marito iniziò a recarsi all’estero per lavoro sempre più spesso. Io mi sentivo spesso stanca e nervosa, ma la sera quando io e la mia bambina andavamo a dormire ero felice, adoravo il suo sorriso.
Incominciai a sentirmi sola e sempre agitata. Tre anni dopo rimasi incinta, io ero al settimo cielo, nessuno tanto meno mio marito , fu felice della notizia.
Nacque nostro figlio, con il taglio cesareo, mio marito era seduto in fondo alla camera con un sguardo funesto, mia madre disse che aveva mal di testa e se ne andò a casa, io passai quella notte con la suocera.
Avevo forti dolori ovunque ,ma era più forte la rabbia verso le persone a cui volevo bene e che mi avevano voltato le spalle. Tornai a casa, dormivo poco e male, avevo i miei bambini sani e felici, ma mi sentivo ancora più sola e stanca di prima e quel che peggio nessuno sembrava accorgersene.
A tre mesi dal parto dovetti tornare al lavoro, in pochi giorni persi più di sei chili, ero pelle e ossa, facevo fatica a salire le scale, la sera quando lavavo i piatti piangevo,quando c’era la pausa in fabbrica piangevo e mi lamentavo,a volte mi rintanavo in un angolo del garage a piangere,una volta scrissi aiuto sul muro, andavo spesso al cimitero e mi sedevo davanti la tomba di mia zia chiedendole aiuto tra le lacrime, o pregavo in chiesa piangendo.
Un giorno me ne stavo in auto e un amica vedendomi in lacrime mi salutò e passò oltre. Piangevo e ridevo e mio marito, quelle poche volte che stava a casa, quando mi vedeva così usciva, io ero la disperazione in persona.
Decisi di parlarne al dottore di famiglia e mi consigliò di andare dallo psichiatra a Tolentino. Mio marito mi accompagnò, io avevo voglia di parlare e di sfogarmi ma quel dottore si limitò a prescrivermi dei tranquillanti e delle analisi.
Per un mese circa presi le medicine,il mio corpo era calmo ma la mente era piena di angoscia e di domande, ingigantivo ogni cosa che accadeva. Una sera mentre mettevo i calzini a mio figlio lui mi disse “mamma mi fai male”;quelle medicine mi stavano togliendo il controllo del mio corpo , pensai, così smisi di prenderle e non feci le analisi e nessuno si accorse di ciò.
Sentivo che qualcosa in me non andava, ma avevo capito di essere sola. La sera nel buio della mia camera, orribili pensieri mi passavano per la testa, così pregavo Dio che proteggesse i miei figli anche da me se necessario.
Un giorno decisi di uccidermi tagliandomi le vene nella vasca da bagno,così presi il coltello e accesi la radio, ma non lo feci, una canzone legata ad un bel ricordo mi fece cambiare idea.
Però dovevo scappare da quella situazione, mi sentivo in “una gabbia dorata”, diventai aggressiva con mio marito, ritenevo lui responsabile dei miei tormenti. Così tra lacrime e rabbia e furibondi litigi, lui andò in tribunale e fece fare contro di me un provvedimento d’urgenza in cui si diceva che ero un madre inadeguata, violenta e irresponsabile e che i nostri figli erano in pericolo, nessuno dei miei familiari prese le mie difese, ero una vergogna per loro, ci separammo, lasciai tutto a lui, i figli e la casa, mi licenziai e scappai con la mia auto e alcune valigie e i pochi soldi che mi erano rimasti.
Una parte di me è morta quel giorno, ma sapevo che i miei bambini erano al sicuro con i suoceri, sarebbero cresciuti sani e forti. Come previsto né i miei genitori né i parenti e perfino mia nonna non mi vollero a casa con loro, mentre una signora che appena conoscevo mi ospitò, trovai un altro lavoro e cambiai il medico curante.
Ma ero convinta di non meritare di essere felice dato che avevo abbandonato i miei figli, così facevo di tutto per soffrire. Un giorno, dietro consiglio , mi recai in un Consultorio familiare, c’erano due dottoresse che con camice bianco carta e penna mi riempirono di domande, sembrava un interrogatorio della polizia, quando uscii stavo peggio di prima e la voglia di autodistruggermi era aumentata.
Una sera toccai il fondo ed ebbi paura. Dovevo assolutamente uscire da quello stato depressivo nel quale ero caduta e che stava ormai diventando cronico, se non volevo diventare pazza. Andai in lacrime dal mio nuovo dottore e insieme decidemmo per una serie di analisi e visite. Lentamente mi sono ripresa. Ora vivo da sola, io e i miei figli ci vediamo, parliamo,scherziamo e facciamo progetti per il futuro e mi chiamano mamma, ma quell’estate del 2003 io li ho persi per sempre, quel giorno sono scesa all’inferno.
Quindi, al minimo segnale di malessere fisici o psichico, non esitate a parlarne con qualcuno, noi abbiamo dei “campanelli d’allarme”ascoltiamoli. La depressione è una malattia e non pazzia come la gente comune pensa e va curata. Se chi vi sta accanto non vi capisce o lo fa e vi dice “non è niente” e voi ne dubitate, andate dal vostro dottore , dallo psicologo, da un’amica, ci sono i centri Informa donna; non fate come me,non chiudetevi in voi stesse, avrei potuto far del male ai miei figli, come purtroppo sentiamo dalle cronache.
Grazie per il tempo che mi avete dedicato
Bruzzesi Fabiola
mail : fabiolabruzzesi@libero.it