Interno giorno, pomeriggio di un feriale autunnale. Figlio numero uno alle prese con i compiti, una delle prime esperienze, prima classe scuola primaria. Figlia numero due alle prese con, a scelta, la voglia di giocare col fratello, la voglia di vedere i cartoni in tv, la voglia di torturare il gatto o di provarsi tutti i suoi vestiti “che ballano”, tirandoli giù uno per uno dall’armadio e spargendoli a terra.

Succede che si arrivi già belli stanchi a questo allegro momento della giornata e ci si trovi a fare il coach motivatore col figlio numero uno che un po’ si scoraggia alle prese con quelle “E” in corsivo, che sembrano proprio dei cavatappi e che lui deve giustamente ripetere. Allora ti lanci in un discorso che neanche l’allenatore della nazionale alla finale dei mondiali usava per incoraggiare la squadra; ti concentri sul tuo tono di voce, sulle argomentazioni più convincenti e stimolanti, giochi la carta dell’esempio, ricordando quando toccava a te. Già, quando toccava a te… sempre evitando di raccontare di quando tua madre, ai tuoi tempi, senza tanti giri di parole, strappò il tuo sudato foglio pieno di “F”, scritte con fatica e disperazione, tagliando corto e intimandoti di farle bene tutte da capo perché non si guardavano. Roba che ancora a 40 anni ti resta stampata in mente… anche se alla fine le “F” e tutto quello che veniva dopo l’hai imparato benissimo anche grazie a mamma. Chissà se il metodo anni ’80 alla fine è stato il più efficace? E mentre ti arrovelli su certe questioni di fine psicologia dell’età evolutiva (tentando di sopprimere la voglia irresistibile di perdere la pazienza), la figlia numero due ti si arrampica sopra e ti urla nelle orecchie e comincia a cantare e a toccare tutti i colori del fratello e a salire sul tavolo. Figlio numero 1 nel frattempo, ancora giustamente, si arrabbia perché lui sta STUDIANDO e come fa a concentrarsi se la sorella lo disturba? Allora tu, mamma che si era persa nel revival della sua infanzia, ti scuoti e prima proponi alla figlia n. 2, in stile Maria Montessori rediviva, di fare anche lei un bel disegno o di colorare un po’, magari cercando di farlo in silenzio… per poi gradualmente passare alle minacce, sempre meno velate, per tentare di riportare l’ordine.

Alla fine ce la fai e torna momentaneamente la calma, ben consapevole che questa è solo la difficoltà n. 10 della giornata, se ti va bene, e ancora ne arriveranno fino all’ora di andare a letto.  Ci saranno ostacoli pratici, ostacoli psicologici, ostacoli personali, tempi ristretti, rigurgiti della tua personalità che ogni tanto chiede attenzione, ostacoli lavorativi… uno dietro l’altro.

Nel frattempo ti mandi messaggi con la tua amica, mamma da un anno. Anche lei ha un bel po’ di complicazioni. Inserimento al nido, primi denti, influenze, terribili notti insonni, tutto per la prima volta nella sua vita, che fino a 13 mesi fa era decisamente un’altra cosa. Ci vuole un bel po’ per abituarsi. Non è uno scherzo. Non puoi far altro che pensare con sollievo di aver già superato quelle fasi.

Ed è lì che ti viene l’illuminazione. Fai un passo indietro, trascendi da te stessa e ti guardi dall’alto (“sdoppiati” dicevamo con un’altra cara amica al liceo…). Fermi tutti. Siamo in un videogioco! La scenografia diventa quella della sala giochi del corso centrale della tua città quando eri adolescente e ci sei tu alle prese con il joystick della tua vita. Una specie di Truman Show elettronico in cui siamo finiti dentro. Stiamo affrontando uno dopo l’altro i livelli di difficoltà. Più vai avanti, più aumentano velocità e durezza dello schema.

Alla fine di ogni quadro il premio è una di quelle mattinate di domenica, in cui tu e il signor padre dei tuoi figli restate svenuti più a lungo sotto il piumone, i bimbi si svegliano per primi e vengono nel lettone ad iniziare la giornata in un grande abbraccio, grande come l’amore che hai per la tua famiglia.

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