
Il bullismo è un argomento di cui spesso di parla, ma che in genere si tende a considerare come qualcosa di lontano, finché non arriva a riguardarci o finché non succede vicino a noi.
L’argomento mi colpisce sempre molto perché sono madre e perché sono stata ragazzina anche io, ma in un’epoca in cui non si aveva una chiara percezione della faccenda.
Oggi abbiamo la fortuna di avere gli strumenti per capire e, se vogliamo, per contrastare questo fenomeno.
Insegnanti, educatori e genitori svolgono un ruolo decisivo ed è importante comprendere l’importanza della sensibilizzazione.
Poiché credo che leggere e conoscere situazioni a noi vicine riesca a coinvolgere maggiormente le persone, propongo ai lettori di mammemarchigiane.it questa storia, che ha riguardato una famiglia di Civitanova Marche.
Chi volesse raccontare esperienze di bullismo vissute dai propri figli per contribuire a sensibilizzare, può scrivermi in privato: mammemarchigiane@gmail.com.
Verrà rispettato l’anonimato.
Ecco il primo di questi racconti, che vedono protagoniste una mamma che racconta e una figlia, a cui ho dato il nome fittizio di Samanta per rispettare la privacy delle persone coinvolte.
Mia figlia Samanta frequentava una scuola superiore di Civitanova Marche.
Tutto è cominciato proprio il primo anno, senza neanche avere il tempo di abituarsi alla novità.
Quattro ragazzine hanno cominciato da subito a darsi arie di superiorità e a dire agli altri che loro erano quelle che “comandavano”, perché provenivano da famiglie ricche, benestanti.
Il passo successivo è stato quello di cominciare a prendere di mira quelli che non ci stavano, quelli che non badavano a loro non dandogli importanza, tra cui mia figlia.
Cominciarono a dirle che era una nullità, che era una “merda” perché non vestiva firmata, le facevano dispetti.
Samanta provò a continuare ad ignorarle, pensando che si sarebbero presto stancate e così facendo passò tutto l’anno scolastico, fino ad arrivare al secondo.
L’estate però non servì a queste ragazze per maturare o per cambiare interessi, quindi di nuovo ripresero ad insultarla nella stessa maniera, tanto che mia figlia, stanca, decise di affrontarle.
Il gruppetto delle “bulle” le andò incontro in 10, spingendola, strattonandola e continuando a ripeterle che lei era niente, che tanto valeva addirittura che si uccidesse.
A noi Samanta non diceva niente, ma io la vedevo cambiare, vedevo i voti scendere e non mi spiegavo perché, così un giorno la invitai a fare una passeggiata insieme e finalmente parlammo.
Le chiesi se c’era qualcosa che non andava e lei scoppiò, dicendomi tutto.
Mi raccontò che era andata anche dalla coordinatrice e dal dirigente, ma nonostante condannassero gli atteggiamenti delle sue carnefici a parole, di fatto non fecero nulla di concreto.
A quel punto non aspettai oltre: prendemmo la decisione di ritirarla da quella scuola per iscriverla in un’altra.
E’ stata dura, ma oggi posso dire di aver fatto la scelta migliore perché ora lei è serena e ha tanti nuovi amici con cui si trova benissimo.
Questa esperienza di certo in qualche modo l’ha segnata, ma lei è una ragazza molto forte e ne è uscita ancora più determinata.
Io so che le cose non sono peggiorate perché siamo riuscite a parlare, perché da sempre ho un rapporto basato sul dialogo con i miei figli, ma nonostante questo sono dovuti passare mesi prima che la vicenda venisse allo scoperto.
Vuoi raccontare anche la tua storia di bullismo nelle Marche?
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