
Mamme marchigiane e lavoro: dallo smart working al rischio di burn out
Nella prima puntata di Mamme e lavoro Erika ci parlava di conciliazione possibile, mentre Maria racconta ora la sua esperienza lavorativa, tra smart working e difficoltà di gestione familiare comuni a molte.
Sono tante le mamme lavoratrici infatti che si trovano a fare i conti con una vita perennemente di corsa, divise tra incastri e organizzazioni al millimetro.
Il rischio di burnout è concreto.
Una nuova occasione di confronto, per evidenziare una tematica fondamentale come quella della convivenza tra ruolo materno e occupazione femminile.

Maria e l’arte dell’incastro
Maria ha 43 anni e vive a Macerata.
Impiegata in un ente, è diventata mamma a 38 anni e ha ora una bimba di 5.
È cambiato qualcosa nel tuo lavoro dopo che sei diventata mamma?
Assolutamente sì.
Mentre prima ero totalmente dedita al lavoro, con la nascita di mia figlia non ho potuto più fare tutto quello che facevo.
Mi spiego: la mia è una situazione particolare perché sono l’unica impiegata dell’ente, con tutti i pro e i contro del caso.
La mia assenza crea sempre un disservizio e se ci sono urgenze o necessità sono l’unica a poter provvedere.
Quindi sono sempre stata molto presente, riuscivo a far fronte a tutto in qualunque momento ce ne fosse bisogno.
Dopo che è nata mia figlia, non ho più potuto garantire la stessa “efficienza”, anzi, forse ho tolto qualcosa al lavoro, sia in orario che in concentrazione (considera che per due anni non ho praticamente dormito, quindi immagina in che condizioni andavo a lavorare…).
In ogni caso reputo la mia una condizione privilegiata, con qualche sacrificio sono riuscita ad incastrare tutto.
Come ti sei organizzata per conciliare famiglia e lavoro?
Io lavoro la mattina fino alle 14 ed ho due rientri pomeridiani a settimana.
I primissimi mesi (sono rientrata al lavoro quando mia figlia aveva 4 mesi) mi sono arrabattata con ore di allattamento, di maternità facoltativa, ferie…
Ho cercato di incastrare tutto in modo da garantire essenzialmente il servizio al pubblico, con l’aiuto di mia madre che mi teneva la bambina nelle ore in cui ero in ufficio.
Poi a 11 mesi è andata al nido fino alle 16, lo stesso per la scuola dell’infanzia.
Nei pomeriggi in cui faccio rientro sta con mia madre e nei primi due anni con mio marito, che ancora lavorava part-time
Su chi hai potuto contare?
Su mia madre e mio padre.
Tuo marito, ha subito dei cambiamenti lavorativi dopo la nascita di vostra figlia?
No, anzi, lui, impiegato nel settore privato, dopo un paio di anni la nascita della bambina è passato da un part-time a un tempo pieno.
Su chi ricade, per lo più, nella tua famiglia, il compito di cura dei figli e della casa?
Più su di me, mio marito rientra a casa la sera non prima delle 19.30.
Per la casa ho una colf che ci toglie il grosso del lavoro, per il resto me ne occupo io.
Mio marito ha meno tempo, quindi solo quando può e nel fine settimana, in particolare è l’addetto alla cucina!
Siamo in pandemia da un anno: come hai vissuto questo periodo, tra lavoro e famiglia?
Il primo lockdown è stato un incubo, mia figlia aveva 4 anni, mio marito lavorava assiduamente, anche se da casa.
A me il lavoro è un po’ sceso e lo avrei svolto agilmente se non avessi dovuto occuparmi h24 della bambina che giustamente richiedeva di continuo compagnia e attenzioni.
Era ancora troppo piccola per giocare autonomamente per più di un’oretta (nel migliore dei casi) e non poteva rimanere ore davanti alla tv.
A volte mi svegliavo alle 6 per sfruttare le prime ore del mattino finché non si svegliava lei, oppure le ore serali.
A livello psicologico la reclusione ha segnato tutti.
In seguito, con i centri estivi e la riapertura delle scuole, è stato tutto un po’ più semplice a livello organizzativo, ma sicuramente stiamo accusando la mancanza di sport e di momenti di socializzazione.
Ho sempre cercato di non terrorizzare la bambina e non istillarle panico ma semplicemente di spiegarle perché siano importanti alcune regole di igiene e attenzione per evitare di contrarre il Covid, ultimamente però noto in lei una sorta di apatia e svogliatezza nell’uscire di casa, ad eccezione della scuola, per fortuna.
Pensi che lo smart working possa essere un buono strumento per la conciliazione?
Dipende dal lavoro che si svolge e in che contesto.
Io ad esempio preferisco andare a lavorare in ufficio, primo perché ho tutto a portata di mano, ancora mi serve molto il cartaceo d’archivio, secondo perché lavoro a due passi da casa quindi non è un peso spostarmi.
Immagino che l’impiegata di un grande ufficio di Roma che deve uscire di casa alle 6 per iniziare a lavorare alle 8 la pensi diversamente, la qualità della sua vita migliorerebbe di molto.
Inoltre se si hanno figli piccoli a casa lo smart working è quasi un’utopia, mia figlia ad esempio che non ha mai dormito per più di mezz’ora di fila, non mi avrebbe mai lasciato modo di concentrarmi.
Anche in questo comunque, ripeto, dipende molto dal lavoro che si fa.
Se non si deve garantire un servizio al pubblico stabilito in determinati orari e si può spalmare il lavoro nell’arco della giornata a proprio piacimento, sicuramente può essere d’aiuto.
Si parla tanto di flessibilità. Quale sarebbe secondo te la flessibilità che potrebbe aiutare le famiglie?
Sicuramente la flessibilità di orario.
Tu garantisci un monte ore e te le gestisci autonomamente.
Oppure lavorare per obiettivi da raggiungere in un lasso di tempo determinato, indipendentemente dalle ore lavorate.
Chiaro che anche in questo caso non per tutti i lavori è fattibile.
Però credo con un po’ di sforzo e buona volontà si possa applicare in molti ambiti.
Ringrazio Maria per aver condiviso la sua esperienza.
Le sue riflessioni saranno certamente utili a chi si trova ad affrontare le sfide legate al tema “Mamme e lavoro”, ma anche a chi sta progettando di diventare madre in futuro
Se anche tu vuoi condividere la tua esperienza sul tema “mamme e lavoro”, scrivimi a mammemarchigiane@gmail.com o mandami un messaggio privato su facebook o instagram.